
avrebbe voluto
confrontarsi con
il giudice Antonino
Caponnetto su alcune
vicende collegate
alle inchieste
a cui lavorava
quando fu ucciso.Non ebbe il tempo di farlo.Lo ha
raccontato la vedova di Caponnetto,Elisabetta, a margine
del Forum antimafia promosso dalla Fondazione intitolata
al giudice che costituì e guidò, dal 1983 al 1988 alla
Procura di Palermo il pool antimafia.
“In una delle ultime telefonate fatte a mio marito - ha detto Elisabetta Caponnetto -Borsellino gli disse: 'Ho trovato qualcosa’. Sto tornando dall’estero ma al telefono non ti posso parlare. Quando torno ti dirò tuttò.
Non ha mai potuto farlo”.
Il 19 luglio saltò in aria insieme alla sua scorta in via d’Amelio a Palermo.

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Intervista ad Elisabetta Caponnetto di Sandra Amurri
27 gennaio 2005
“Confesso di essere rimasta stupita ieri nel vedere che solo L’Unità, Liberazione e la Stampa avevano pubblicato l'appello promosso dalla Fondazione in difesa dei due magistrati che Cosa Nostra ha condannato a morte.
E’ un silenzio che mi inquieta. Non sono e non voglio essere retorica, ma non voglio neppure, in alcun modo, che si piangano altre morti di fronte all’indifferenza!”. Incontriamo la signora Elisabetta, vedova di Caponnetto padre del pool antimafia di Palermo, morto il 6 dicembre del 2002, all’indomani della notizia della sentenza a morte del Procuratore di Palermo Piero Grasso e del Pm Luca Tescaroli emessa dal capo di Cosa Nostra il superlatitante Bernardo Provenzano.
Sono ore tristi per lei che le fanno rivivere momenti bui della sua storia di moglie che per seguire il marito a Palermo e per condividerne angosce e paure ha sacrificato gli affetti famigliari.
Ci accoglie nel salotto della sua casa fiorentina. Seduta sul divano, lo stesso da dove, tante volte, il giudice Caponnetto, Nonno Nino così come amava essere chiamato e come ancora oggi viene chiamato, ha lanciato dall’alto della sua autorevolezza morale appelli accorati in difesa della Costituzione, dell’autonomia della magistratura e della legalità. Sulla parete una foto in bianco e nero che ritrae Falcone e Borsellino.
“Sono Giovanni e Paolo”, esclama la signora Elisabetta “erano come figli per Nino e li ha dovuti piangere uno ad uno. Ha portato sulle spalle le loro bare assieme a Piero Grasso.
E non basta tutto questo per capire che è tempo di far sentire la nostra voce e quella di tutte le persone che ancora credono, sperano, di poter vivere in un Paese davvero civile in cui un magistrato possa lavorare senza sentire costantemente sul collo il fiato omicida della mafia?”
Ottandueanni, tanti ne ha la signora Elisabetta, non hanno minimamente affievolito la sua forza che usa senza risparmiarsi per girare l’Italia in lungo e in largo per incontrare i tanti giovani che vedono in lei un riferimento ideale su cui costruire il loro futuro.
“Tacciono i rappresentanti del Governo, non mi risulta che abbiano inviato attestati di solidarietà al Procuratore Grasso e al magistrato Tescaroli.
Tace anche il Presidente della Commissione Antimafia, come è possibile tanta indifferenza? La Fondazione Caponnetto è sempre intervenuta in difesa di giudici vittime di attacchi furibondi, lo ha fatto in difesa di Caselli, di Ingroia, della Bocassini e di Colombo e non smetterà di continuarlo a fare perché questo è il suo compito: spendere parole, energie, sentimenti, per dire a tutti i Servitori dello Stato che siamo al loro fianco perché ciò che fanno lo fanno anche per i nostri figli, per i nostri nipoti.
Eppure c’è chi continua incessantemente nel volerli offendere, umiliare, osteggiare. La sola cosa che mi sostiene è la fiducia immensa che ripongo per il futuro di questa nostra democrazia nel Presidente Ciampi che crede nella necessità che la magistratura rimanga indipendente. Così come ho anche fiducia nei tanti cittadini, nei tanti sindaci, cominciando da quello di Firenze, che stanno aderendo al nostro appello.
Ho fiducia nei giovani che incontro nelle scuole, nel sentire forte che percepisco nei dibattiti ai quali partecipo organizzati dalla Fondazione intitolata a mio marito in difesa della legalità e della giustizia sociale”.
Le chiedo, ben sapendo di toccare un tasto dolente, se l’impegno forte, instancabile portato avanti dalla Fondazione Caponnetto riceva la visibilità che merita sugli organi di informazione, e la risposta arriva immediata: “Purtroppo no. Gli organi d’informazione sono attenti al fenomeno mafioso solo quando i cadaveri insanguinano le strade.
Per non parlare delle recenti leggi, che sembrano addirittura ignorarlo se non addirittura incrementarlo.
Spesso, purtroppo, mi trovo a pensare che il cosiddetto”piano di rinascita democratica della P2”, stia trovando piena applicazione nel nostro paese.
Paese che ha contato troppi morti ammazzati dalla mafia per poter restare a guardare.