venerdì 4 dicembre 2009

I FIGLI DEI PADRI.

L'Italia: paese della retorica e dei cervelli in fuga.


Ieri alle 19.35
Mi ha piuttosto colpito la lettera che Pier Luigi Celli,
Direttore Generale della Università LUISS, ha indirizzato
al proprio figlio.
Non tanto per la lettera in sé o per il suo contenuto
(un padre che invita il figlio a lasciare il paese,
tra la gente comune, è un fatto abbastanza scontato),
ma perché quel padre non è un uomo qualunque.
Pier Luigi Celli è stato il Direttore Generale della RAI,
un uomo di apparato molto ben inserito nella cosa pubblica;
uno di quei personaggi dal quale, proprio perché potente,
mai e poi mi sarei aspettato una lettera e un appello simili.

Il nostro è un paese bloccato e storicamente castrato dal
nepotismo e dalle raccomandazioni, a ogni livello: locale,
nazionale, pubblico, privato.
È un paese, il nostro, nel quale il merito ha da sempre
avuto un valore molto relativo. In Italia, sul piano della
vita professionale, puoi esistere, se fai parte di un clan:
una famiglia, un partito, una lobby, ecc. “Ecco, guardati attorno.
Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno
valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista,
pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà,
in cambio di un riconoscimento degli interessi personali,
di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti
inesistenti.
A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di
clan, familistica: poco fa la differenza.“
La fuga dei cervelli è un fenomeno che ha sempre riguardato
il giovane universitario brillante, del tutto privo degli
agganci giusti. Quanti concorsi truccati, nel nome della
disgustosa pratica nepotismo.
Quanta gente è riuscita a fare carriera in barba ai più
meritevoli, solo perché figlia di Tizio, piuttosto che
di Caio: “…Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo
fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni
intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non
sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede
imperterrito al vertice di una Multiutility.”
Il fatto, quindi, che una personalità come Celli inviti
il proprio figlio ad andarsene, fa intuire come l’Italia
sia davvero arrivata alla “frutta”: “Questo è un Paese in
cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di
un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o
di un tronista; forse poco più di un millesimo di un
grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti
che non pagherà mai.”

Del resto, è un Paese, il nostro, in forte e irreversibile
declino: che ha perso e perde competività da molti anni,
in quasi tutti i settori economici; che non ha investito
e investe in ricerca di base, né in quella applicata; che
ha utilizzato e utilizza ancora la scuola come un parcheggio
per studenti e insegnanti precari, più che come la fucina per
la formazione delle classi dirigenti future e dei cittadini
del domani. Un paese nel quale tutto ciò che è sinora accaduto,
anche le stragi di inermi cittadini, sembra che siano
avvenute per caso, senza che possano mai ravvisarsi le colpe
di nessuno “Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato
a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare
indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una
volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico.”

Ma sento un altro motivo di disagio, sempre a proposito della
vicenda di cui discuto in questa nota, ed è la vuota retorica
istituzionale che ha fatto seguito alla lettera di Celli.
Quella retorica che è tipica dei nostri zelanti governanti,
in primo luogo, dal nostro tanto stimato Capo dello Stato.
Ai giornalisti che gli hanno chiesto un commento sulla lettera
del direttore generale Pier Luigi Celli, Napolitano ha risposto:
"Non credo che si possa dire a nessuno che ritorneremo alla
Roma imperiale, sarebbe francamente eccessivo. Però, su questa
base possiamo far crescere un Paese che sia all'altezza delle
conquiste, anche delle civiltà contemporanee più avanzate".

Di fronte a questa “necessaria", "opportuna" sua affermazione,
così utile a rinsaldare l’amor patrio in noi tutti, a me viene
spontaneo rammentare all’illustre Presidente Giorgio Napolitano
il modo in cui suo figlio Giulio è riuscito a entrare e a
fare carriera in ambito universitario, il tutto ai danni di un
tale Roberto Tomei.
Giulio Napolitano, oltre a lavorare come consigliere per la
Presidenza del Consiglio, ha infatti vinto un concorso a cattedra
universitaria in diritto amministrativo, con un numero di
pubblicazioni nettamente inferiore a quelle di Tomei.

Quest'ultimo, di fronte al torto subito, ha fatto e vinto il
ricorso con sentenza del Consiglio di Stato, che (per la prima
volta in questo genere di ricorsi) ha affermato il principio
secondo cui “per pubblicazione debbono intendersi soltanto le
pubblicazioni diffuse nell´ambito della comunità scientifica
che il candidato può vantare all´atto della domanda… la
monografia del dott. Napolitano “Servizi pubblici e rapporti
di utenza” risulta prodotta in esemplare stampato in proprio
dall´autore, onde la stessa difetta del requisito minimo per
essere definita pubblicazione valutabile agli effetti del
concorso de quo“.
E i giudici hanno aggiunto: “Tale lavoro ha costituito elemento
decisivo per la valutazione del candidato, in quanto ritenuto
dalla commissione, quello di maggior rilievo sul piano sia
formale sia sostanziale, come si evince chiaramente dai
giudizi formulati, onde la sua non ammissibilità impone,
di necessità, la rinnovazione del giudizio di idoneità
espresso nei suoi confronti“.

Tuttavia, l'originaria Commissione esaminatrice, investita
nuovamente della valutazione, ha preferito “farsi decadere”.
Una nuova Commissione, costituita nell´agosto 2005, è stata
poi annullata più di un mese dopo. Solo dopo una diffida
da parte di Tomei, a febbraio del 2006, la commissione è
stata ricostituita e ha terminato i propri lavori nel giugno
del 2006.
Non essendosi presentata la candidata D´Orsogna, si è trattato
di attribuire due posti fra i rimanenti candidati, cioè
Napolitano e Tomei. Ancora una volta Tomei è stato bocciato,
ancorché dovessero essere valutati titoli non considerati
dalla prima commissione. E´ risultato idoneo invece Giulio
Napolitano, nonostante il suo lavoro principale, quello sul
quale la prima commissione aveva fatto leva per promuoverlo,
non potesse essere più oggetto di valutazione secondo la
sentenza del Consiglio di stato. E così, alla fine, vissero
tutti felici e contenti!

Evviva la retorica! Evviva il nepotismo! Evviva l'Italia!

MUSICA PER IL NUOVO POPOLO